Àrbol

Autore
Miranda Sordello

Le parole occitane àrbol, albre e aubre « albero » continuano l’accusativo latino arborem di stesso senso.

Le forme albre e aubre occupano le tre vallate settentrionali e marginalmente la Val Pellice, il limite tra forme con l vocalizzata e non passa più o meno tra Alta Valle Susa e Val Chisone. Salbertrand, Bardonecchia, Oulx, Claviere hanno [aoubr(ë)], però Sauze di Cesana ha già albre [albre], forma comune a tutta la Val Chisone e alla Val Germanasca, fino a Angrogna in Val Pellice.
A partire dalla Val Pellice ([àrbou] : Bobbio) la forma àrbol è quella delle valli meridionali ([àibou] a Fontane di Frabosa, variante [àrbrou] a Entracque). Fra Robilante e Limone, che dicono àrbol, Vernante a arbre (però àrbol nel senso di « castagno »).

Il senso primo di àrbol e delle sue forme apparentate è « vegetale legnoso, spesso di grande dimensione, che comprende un tronco e dei rami ». In questa accezione generica un concorrente di àrbol ben rappresentato nelle Valli è planta « pianta ». Le sfumature di senso e gli usi possono variare secondo il posto.

La seconda accezione è « castagno », localmente nelle basse valli meridionali dove è l’albero più importante nel paesaggio come lo era per l’economia tradizionale : Boves, Chiusa Pesio, Fontane di Frabosa, Cartignano. Per un scivolamento di senso equivalente, a Chiusa, a Robialnt i castagni selvatici sono semplicemente lhi servàis/sarvais [i sërvài, sarvai] « i selvaggi ».
Nei comuni più alti il larice è l’albero più comune, e si vede uno scambio di senso tra queste due parole : a Pragelato il senso di jarràs (« piccolo larice ») si è esteso fino a farne un quasi sinonimo di albero, a Bellino al contrario un giovane larice è un arboret, un boschetto di larici, una arborea [arbourìo], e gli àrbols dal prat [àrbou dai pra] sono i larici cresciuti isolati in una proprietà privata, per opposizione con gli àrbols dal cumun [dei cumun], dei boschi comunali.

Localmente la forma àrbol evita la quasi omofonia tra l’ albre e la parola che designa diverse varietà del genere Populus : l' albra ([albro] : Val Germanasca, Sampeyre, [arbra] : Villar Pellice, Bobbio, Luserna San Giovanni). che derivano dal latino alba « bianca ». L’Alta Valle Susa usa generalmente della forma aubera per questa specie vegetale.

La forma dei testi valdesi antichi è albre : " Chascun albre es conegut del sio fruch, car ilh non còlhon fias de las espinas, e non vendemion ua del golencier " [cascun albre es conegu del sio fruc, car ilh non colhon fias de las spinas e non vendemion ua del golencier] « Ogni albero si riconosce dal suo frutto : non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo » (Luca VI-44).
La forma agolencier si è mantenuta in Alta Valle Susa ([argourensìe] : Chiomonte, Bardonecchia), Val Chisone (la golença a Sestriere, il golonzier a Pramollo) e Val Germanasca [agoulënsìe, ërgoulënsìe], più a sud il gratacul o i bòçols.
Nel trattato « De las 4 cosas que son a venir », l’albero è anche una metafora della vita umana, ogni giorno più vicina alla fine, " al chavon " : [la nostra vita es acompara a un albre avent en las reycz doas bestias, l’una blanca e l’autra niera, ço es a saber lo jorn e la noyt, rojant non cessivolment las reycz d’aquest albre de vita] « la nostra vita è come un albero che ha nelle sue radici due animali, uno bianco e l’altro nero, cioè il giorno e la notte, che rosicchiano continuamente quest’albero di vita ».

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