Valsesia
Prima di raggiungere le minuscole comunità walser dell’alta Valsesia, bisogna risalire tutta la lunga e articolata valle, che conta centri importanti come Borgosesia e Varallo. La Valsesia è stata protagonista della nascita dell’industrializzazione del paese già nel XIX secolo: fabbriche tessili, cartiere, industrie meccaniche sfruttarono infatti le inesauribili acque del Sesia per la produzione di forza motrice. Offre dunque un marcato contrasto l’aspetto moderno e dinamico della bassa valle da quello delle alte valli laterali, dove i walser sembrano aver conservato un idillico mondo rurale, con tradizioni immutabili.
Il percorso di visita
La SS 229 lascia la pianura e la fascia di colline moreniche coltivate a vite, tra Ghemme, Romagnano Sesia e Gattinara, e si presenta subito stretta e boscosa, con il massiccio del Rosa ben visibile anche dal primo fondovalle. Antiche fabbriche sono allineate lungo la strada tra Prato Sesia e Borgosesia. Proseguendo oltre si sosta a Varallo, che pur non avendo alcun legame con le comunità walser, conserva un patrimonio artistico di tutto rilievo nel suo Sacro Monte (monumento dell’UNESCO). Il complesso sorge sul monte Tre Croci, all’imbocco della val Mastallone e a picco su Varallo. Il Sacro Monte è un insieme di cappelle, inserite in un parco (Riserva naturale Sacro Monte di Varallo), affrescate e popolate da circa 800 statue: ha come tema la vita di Gesù. È il più antico dei sacri monti e fu realizzato nel corso di oltre cent’anni a partire dalla fine del XV secolo. Un prezioso contributo alla decorazione dell’opera venne da due artisti walser provenienti da Alagna: Tanzio da Varallo (Antonio d’Enrico) e suo fratello Giovanni d’Enrico, attivi in Valsesia e val d’Ossola (oltre che a Roma e in centro Italia) a cavallo tra XVI e XVII secolo. Erano figli di un artigiano scultore e, nonostante l’origine provinciale, furono sensibili (Tanzio in particolare) al realismo del Caravaggio e quindi ai più moderni linguaggi del loro tempo. Imperdibile anche la chiesa di S. Maria delle Grazie, interamente affrescata da Gaudenzio Ferrari con un ciclo sulla vita di Gesù (1513).
Da Varallo si risale la val Mastallone (SP 9 e 80) per Rimella. La valle si presenta da subito molto angusta, con vere e proprie gole, come l’orrido della Gula, e le strette in corrispondenza di Voj e oltre il ponte delle Due Acque, dove il torrente Landwasser confluisce nel Mastallone. Alla testata della valle formata dal Landwasser si trovano le frazioni sparse di Rimella, disposte sul versante sud-occidentale meglio esposto. Rimella è il più antico insediamento walser a Sud delle Alpi. I primi coloni si stabilirono su alpeggi presi in affitto dal capitolo dei canonici di Orta S. Giulio nel 1255. Si suppone che siano arrivati dalla val d’Ossola e dal lago d’Orta, attraverso la val Strona (dalla Bocchetta di Campello) o la valle Anzasca. Il paese conserva la parrocchiale di S. Michele, notevole esempio di arte barocca, con pregevoli arredi lignei. Le frazioni sono agglomerati di case a più piani, che consentivano di riservare i pochi spazi pianeggianti al pascolo e al coltivo. Vi sono esempi di edilizia tradizionale, e in particolare case costruite con la tecnica del blockbau, con la parte inferiore in pietra e la superiore di legno. A Rimella ha sede il Museo Filippa, nato da un «gabinetto di curiosità e cose rare», collezione eterogenea di reperti naturali e memorie di viaggio, raccolti a cavallo tra XVIII e XIX secolo dal rimellese Giovanni Battista Filippa.
Tornati alla Val Grande - la valle principale, ancora stretta e boscosa - si prosegue la salita verso l’alta Valsesia, fino a Balmuccia, dove sbocca la stretta val Sermenza. La si risale con la SP 10 fino alla confluenza del Sermenza con il torrente Egua: qui la valle si apre nell’ampia conca di Rimasco, in parte occupata da un bacino artificiale. Da Rimasco si sale (SP 11) alla testata della valle dell’Egua toccando varie borgate: da frazione Campo Ragozzi si sale a piedi su mulattiera a Piè di Rosso, borgata fondata da coloni provenienti da Riva Valdobbia. Un’altra escursione porta all’alpeggio di Dorca (1253 m), antica proprietà della mensa vescovile di Novara, insediata stabilmente dai walser nel XIV secolo. Alla testata della valle si trova, su ampia conca prativa, Carcòforo, con belle case tradizionali. L’alpeggio fu abitato stabilmente dai walser a partire dal 1383. L’ingresso al paese è marcato dall’Arco di buona accoglienza, costruito nel 1743. In paese ha sede anche il Museo naturalistico del Parco naturale Alta Valsesia.
Tornati a Rimasco, si prosegue sulla SP 10, lungo il Sermenza, che raggiunge S. Giuseppe, la prima delle due borgate che formano il comune di Rima S. Giuseppe. Se S. Giuseppe ha origini valsesiane, Rima fu fondata da coloni walser provenienti da Alagna a metà del XIV secolo, come testimoniano quattro case in stile walser. A Rima ha sede il Museo laboratorio del marmo artificiale, dove si spiega e si insegna una tecnica di lavorazione della scagliola, inventata dai rimesi nel XIX secolo, ed esportata in tutto il mondo. Alla ricchezza delle varie botteghe presenti in paese a inizio ‘900, si devono le molte belle dimore del paese.
Tornati al fondovalle della Val Grande, si prosegue per Riva Valdobbia, che sorge su una terrazza morenica in corrispondenza dell’imbocco della val Vogna. Il luogo era abitato prima dell’arrivo dei coloni walser da Alagna, che si integrarono lentamente con la popolazione preesistente. L’abitato conserva belle case walser, accanto a edifici del XIX secolo. Il monumento più importante è la parrocchiale di S. Michele, costruita nel XVIII secolo dopo che la precedente era stata distrutta dall’alluvione del Vogna. L’edificio barocco ha conservato il campanile della chiesa tardogotica e la facciata, interamente affrescata con un grandioso Giudizio Universale (1597), opera di Melchiorre d’Enrico, fratello di Tanzio da Varallo. L’artista di Alagna è autore anche del S. Cristoforo sulla base del campanile.
Da Riva Valdobbia si risale la selvaggia Val Vogna, percorsa da una strada carrozzabile fino alla chiesetta di S. Antonio. Dalla valle, solo su sentiero, è possibile raggiungere il colle di Valdobbia da cui si scende nella valle di Gressoney. Al colle è attivo dal XIX secolo il rifugio/ospizio Sottile, punto d’appoggio per gli emigranti stagionali che affrontavano il rischioso percorso verso la Francia. Dalla testata della val Vogna è possibile anche scendere verso la valle Cervo, nel Biellese, attraverso il colle del Maccagno, come fecero nel XV secolo pastori walser, che ne utilizzarono gli alpeggi. Alla frazione Rabernardo (1545 m), raggiungibile solo a piedi, un Museo walser è allestito in una casa del XVII secolo.
La visita prosegue sulla statale, che raggiunge in una conca aperta la testata della valle, dove sorge Alagna Valsesia. Nonostante lo sviluppo dovuto al turismo dello sci e dell’alpinismo, Alagna ha mantenuto un importante patrimonio architettonico nelle numerose case walser. A coloni provenienti da Macugnaga, attraverso il passo del Turlo, si devono i primi insediamenti sugli alpeggi alla testata della valle. In un secondo momento giunsero altre famiglie dalla valle di Gressoney. I vari gruppi costituirono le 22 frazioni sparse di Alagna: l’Ecomuseo del territorio e della cultura walser, che fa capo al Teatro Unione Alagnese (costruito nel 1900), prevede un itinerario di visita che tocca le varie frazioni, dove si trovano la segheria (a Rèsiga), mulini funzionanti (a Uterio), le macine della miniera d’oro (a Kreas), e il Museo walser, che ha sede a Pedemonte, in una casa del 1628. Nella parrocchiale di S. Giovanni Battista, rifatta in epoca barocca, sono conservati pregevoli arredi lignei.
Alagna è centro ben attrezzato per gli sport invernali, grazie agli impianti di risalita del comprensorio Monterosa Ski, che si estende anche alle valli di Ayas e di Gressoney. È inoltre punto di partenza per escursioni alpinistiche e scialpinistiche sul gruppo del Rosa. Tra gli sport che si praticano in Valsesia va ricordata anche la canoa, sul Sesia da Riva Valdobbia a Varallo.
L’oro della Valsesia
I filoni auriferi del Monte Rosa erano noti dall’antichità e la miniera di Kreas era già sfruttata nel XVI secolo. Dal 1700 le miniere furono gestite direttamente dai Savoia, che le tennero fino al 1771, quando furono date in concessione ai privati. Al XVIII e XIX secolo risalgono gli edifici di servizio alla minera, di cui oggi rimane la Fabbrica di S. Lorenzo. A inizio ‘900, ogni giorno si produceva poco meno di un chilo di oro, lavorando circa 50 tonnellate di minerale. Alcuni filoni si trovavano a quote considerevoli: a monte dell’alpeggio Mud (2120 m), all’alpeggio Jazza (2000 m), al colle delle Pisse (3000 m), questo il più alto cantiere d’Europa. Le miniere furono definitivamente chiuse, dopo vari tentativi di sfruttamento da parte di società private, nel 1957.